
Il 30 aprile scorso il Ministero delle Politiche Agricole ha accordato la protezione transitoria all’IGP Uva di Puglia. Sin da quest’anno l’uva di Rutigliano e di altri comuni potrà essere commercializzata col tanto agognato marchio di qualità rilasciato dalla Comunità europea, l’IGP, appunto, che sta per “Indicazione geografica tipica”. Non è una assegnazione definitiva. Ci saranno tre anni di sperimentazione nei quali sarà verificato il rispetto del disciplinare di produzione, verifica condotta da una commissione di ispettori della Camera di Commercio di Bari. Al termine della sperimentazione il marchio IGP sarà definitivamente riconosciuto all’uva da tavola pugliese.
Sono stati i produttori di uva da tavola della regione, in modo particolare del Sud-Est barese, costituitisi in consorzio, a chiedere due anni fa al Ministero di inoltrare richiesta alla CE di istituzione del marchio di qualità. La protezione transitoria fu allora accordata quasi subito, ma ora siamo nella fase della vera e propria sperimentazione. I territori interessati all’IGP sono quelli di 126 comuni delle province di Bari, Foggia, Brindisi e Taranto.
“L’I.G.P ‘Uva di Puglia’ è riservata all’uva da tavola delle varietà Italia b, Victoria b, Michele Palieri n., Red Globe rs” dice il disciplinare di produzione approntato dal Ministero nel ’07, uva da tavola prodotta in quei 126 comuni che il disciplinare elenca per esteso tutti.
Per fregiarsi del marchio IGP i produttori devono rispettare una serie di parametri riferiti al prodotto e all’impianto. “All’atto della sua immissione al consumo -è scritto nel disciplinare- l’Uva di Puglia deve presentare le seguenti caratteristiche”: il grappolo non deve pesare meno di 300 grammi, la calibratura degli acini all’ “equatore” non deve essere inferiore ai 21 mm per la Victoria e ai 22 mm per l’Italia, la Palieri e la Red Globe. La concentrazione del succo non inferiore a 14° Brix (gradi Brix: è l’unità di misura della presenza di sostanze solide dissolte in un liquido) per la varietà Italia e Red Globe e 13° Brix per la Victoria e la Palieri. La forma del vigneto deve essere a 'tedone' e la 'densità' di piantagione dovrà essere compresa tra un minimo di 1.100 ed un massimo di 2.100 viti/ha”. I filari devono avere una distanza tra loro compresa fra i 2,2 e i 3 metri e la produzione di uva ad ettaro non deve superare i 300 quintali.
“Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output” dice ancora il disciplinare all’art. 4, denominato ‘Prove dell’origine’. “In questo modo -prosegue- e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi gestiti dalla struttura di controllo delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto”.
L’art. 8 disciplina l’etichettatura e dice che “all’atto dell’immissione al consumo, il contenuto di ogni imballaggio deve essere omogeneo e comprendere esclusivamente grappoli della stessa varietà, origine e standard qualitativo”. Le confezioni devono essere sigillate e possono essere cassette di cartone, legno, plastica, compensato da 5 kg netti di uva o di peso inferiore a seconda del materiale con cui è fatta.
Non sappiamo quanti produttori utilizzeranno questo simbolo e, quindi, l’IGP nella campagna appena cominciata. La cosa certa è che commercializzare il proprio prodotto con questo marchio significa dargli una marcia in più sul mercato nazionale ed estero. Uno dei grandi problemi di cui si lamentano i produttori dell’ortofrutta e dell’uva da tavola in particolare è quello della concorrenza degli altri paesi del Mediterraneo, la cui uva molto spesso viene spacciata come di origine pugliese. Si spera, dunque, che la tracciabilità garantita dall’IGP dia alla nostra uva da tavola una marcia in più, un ulteriore valore aggiunto su un mercato quantitativamente sempre più inflazionato.
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Commenti
Ed è che vedi iniziare da adesso (cosa impossibile visto che siamo in piena raccolta) ci vogliono 3 anni per convertire al biologico certificato (attenzione altrimenti non serve a niente).
Incominciamo con le Buone Pratiche Agricole basilari per una buona agricoltura sostenibile e poi vediamo.
Fare il biologico non è facile... lo deve praticare anche il tuo vicino di tendone... altrimenti niente da fare.
molti sono i pesticidi utilizzati nelle ostre campagne, forse è meglio che la nostra gricoltura volti pagina convertendosi al biologico.
Così si affronterebbe meglio la concorrenza, spuntnado anche un prezzo un pò più alto..ma vallo a dire ai nostri agricoltori trogloditi..
Nel corso della scorsa campagna ha circolato la voce di tendoni d'uva sequestrati dai NAS (ovviamente non posso dirti i nomi delle aziende) ma ti assicuro che è una cosa certa.
Il residuo del CPU non è riscontrabile se il trattamento viene fatto in un epoca giusta e aspettando i tempi carenza consigliati...quindi...
>
Puoi raccontare meglio questa storia che mi interessa?
Grazie
Ma chi l'ha detto che i controlli non ci sono...
Riguardo il "CPU" come lo chiam tu... non è dimostrato che faccia male alla salute, sono in corso dei test che sicuramente saranno superati visto che tale prodotto è già consentito sul kiwi da tempo (comunque io sono contraria a priori)... e poi i controlli sono avvengono su quell'utilizzo... è notizia della scorsa campagna di tendoni siggillati dai NAS in attesa di analisi sui residui.